Parte IX di IX

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Per comprendere nel dettaglio la mia personale teoria sull’esistenza della giustizia assoluta è necessario riassumere alcuni concetti e in particolare descrivere la distinzione tra diritti assoluti e diritti relativi che scaturisce dalle considerazioni svolte nei precedenti articoli.

Giustizia come “funzionalità” alla sopravvivenza

Negli scorsi articoli siamo infatti arrivati ad elaborare una analisi dell’evoluzione della società umana, dal punto di vista antropologico, che ci ha permesso di ricavare alcuni elementi importanti.

In particolare, abbiamo visto che la società è un prodotto naturale e che come tale – alla stregua delle stesse società animali – si regge su una serie di principi fondanti che ne regolano il funzionamento. A livello di “stato sociale di natura”, una società presenta uno scopo ben preciso, che è quello di garantire la sopravvivenza dei consociati.

Essendo questo l’obiettivo primo della società, è logico dedurne che tutti i principi che sono funzionali a quell’obiettivo, e che come tali derivano dalla natura, siano dei principi assoluti di giustizia.

Diritti assoluti e diritti relativi

Dopo averli enucleati in via generale e dimostrativa, mi pare ora necessario introdurre una distinzione tra questi principi (e i diritti che ne derivano) con quelli che, invece, subentrano nella società in un secondo momento, ovverosia quando alle semplici leggi di natura si aggiungono quelle positive, disposte da un’autorità riconosciuta per la gestione degli ulteriori interessi e diritti che scaturiscono dall’avvento della civilizzazione e dalla complicazione delle strutture sociali.

In effetti, nelle società moderne la sopravvivenza continua ad essere l’obiettivo primario, ma non è l’unico, poiché la complicazione delle strutture sociali ha inevitabilmente posto sul tavolo nuovi obiettivi, nuove esigenze e nuovi interessi che la società si trova a dover tutelare, non necessariamente legati alla sopravvivenza.

Si tratta, in questo secondo caso, di diritti “relativi” nel senso che gli stessi sono solo indirettamente funzionali alla sopravvivenza, mentre in modo diretto sono finalizzati a garantire la gestione, l’organizzazione, gli interessi specifici e in generale i rapporti interni tra i consociati.

Vediamolo meglio con un esempio pratico.

Il rapporto tra diritti assoluti e diritti relativi

La società è finalizzata alla sopravvivenza di tutti i membri; per sopravvivere, è innanzitutto necessario che tutti i consociati abbiano accesso al cibo. Pertanto, l’accesso al cibo è un principio assoluto di giustizia, perché garantisce direttamente la sopravvivenza dei consociati. Come tale, un simile principio deve essere garantito a tutti in ogni tempo e ogni luogo e non può mai essere derogato. Privare infatti un consociato di un requisito fondamentale per sopravvivere costituisce un’ingiustizia in assoluto, perché il consociato è tale proprio per vedersi garantito, tra le altre cose, l’accesso al cibo.

Tuttavia, per garantire questo principio assoluto all’interno di una società evoluta, la cui civilizzazione ha complicato le strutture sociali, è necessario intervenire anche con la legge positiva; sarà necessario stabilire un piano regolatore per individuare le aree adibite al pascolo e quelle adibite alla coltivazione, formalizzare delle regole per la raccolta e la distribuzione del cibo stesso, stabilire i prezzi delle derrate alimentari, prevedere pene per chi non rispetta quelle regole. Questo secondo corpo di regole, come anticipato, non è naturale poiché non scaturisce da bisogni naturali e istintivi, bensì da esigenze contingenti di quella specifica società, fatta di determinati territori, di determinate risorse, di una determinata cultura e di una determinata distinzione di ruoli.

Queste leggi sono funzionali alla concreta gestione sociale e come tali possono essere cambiate, riviste, modificate o completate nel tempo in base alle esigenze e all’evoluzione tecnologica e scientifica e non hanno dunque un parametro assoluto e immutabile cui riferirsi: anzi, è proprio la possibilità di riadattare quelle regole alle nuove scoperte e alle nuove ideologie a garantire l’efficienza della società.

Certo: resta fermo il parametro generale, e cioè che queste leggi non vadano indirettamente ad ostacolare lo scopo primario della società, ossia la sopravvivenza dei singoli.

La gerarchia dei diritti

Questo significa che tali regole hanno un certo margine di discrezionalità, che può essere più o meno ampio ma non potrà mai essere infinito (posso cambiare la legge sulla distribuzione del cibo in base alle esigenze, ma non posso stabilire una legge che vieti la distribuzione del cibo, perché questa sarebbe contraria ai principi generali).

In questo senso avremmo dunque dei diritti assoluti, connessi direttamente con la sopravvivenza dei consociati, e dei diritti relativi, connessi invece con le specificità della società presa a riferimento in quel determinato luogo in quel preciso momento storico.

Le conseguenze di questa distinzione sono importanti per la tesi che si vuole esporre ma meritano un ulteriore approfondimento.

La complicazione delle strutture sociali non impone solamente la creazione di regole positive atte a regolamentare la convivenza civile; tale complicazione contribuisce anche a strutturare quella società in modo più complesso, favorendo la nascita di classi sociali, impieghi e ruoli sempre più differenziati.

In una società naturale, avvezza unicamente alla caccia, alla pesca e alla raccolta dei frutti della terra, anche la distinzione dei ruoli nella società resta elementare e può essere regolata dalle semplici leggi di natura perché gli obiettivi di tutti i consociati, anche se questi ultimi sono adibiti a ruoli diversi, restano identici per tutti (mangiare, bere, dormire, difendersi e procreare).

In una società razionale e civile, invece, a quegli obiettivi comuni a tutti si aggiungono gli specifici obiettivi ed interessi delle varie classi sociali che si creano, interessi che spesso risultano in contrasto e in contraddizione tra loro.

Il contrasto tra diritti

Come visto nell’esempio precedente, infatti, sia il contadino che l’allevatore hanno entrambi lo stesso obiettivo primario che è appunto sopravvivere; ma entrambi hanno anche degli obiettivi e degli interessi loro specifici e differenziati: il contadino avrà interesse ad un buon impianto di irrigazione dei suoi terreni, al mantenimento basso dei prezzi delle sementi, all’investimento in tecnologie che facilitino la raccolta. L’allevatore, allo stesso tempo, avrà interesse a vedersi attribuiti terreni fertili e ricchi di cibo per i suoi animali, a strutture adeguate per mantenerli, ecc…

Tali interessi potrebbero entrare in contrasto tra loro, con la conseguenza che il bene di uno potrebbe non coincidere con il bene dell’altro (investire nell’irrigazione potrebbe ad esempio eliminare risorse per le strutture dove tenere gli animali, dal che preferire il primo intervento danneggerebbe il secondo soggetto, e viceversa).

Si tratta di una contraddizione ormai nota a tutti e che costituisce parte integrante di ogni società evoluta: il bene dell’imprenditore non corrisponde a quello dei lavoratori dipendenti, il bene del dipendente pubblico non corrisponde a quello del dipendente privato, il bene del giovane non corrisponde a quello del vecchio, ecc.. proprio perché garantire un diritto “relativo” comporta sempre la privazione di qualcosa verso gli altri che non fanno parte di quella categoria.

Riepilogo

Ecco dunque che si creano due grandi insiemi di regole:

  1. I diritti assoluti, quelli cioè che sono uguali per tutti e che sono finalizzati alla sopravvivenza di ogni singolo consociato. Come tali, devono essere garantiti sempre, in ogni luogo e tempo, senza condizioni;
  2. I diritti relativi, che corrispondono invece agli specifici interessi delle singole classi sociali, che possono essere tutelati in maniera discrezionale e variabile a seconda delle contingenze ed esigenze, ma in ogni caso senza che la tutela di questo interesse non vada a ledere i diritti assoluti connessi alla sopravvivenza.

Il risultato della relazione tra diritti assoluti e relativi è dunque il seguente: ogni società dispone di una serie di diritti assoluti, che possono essere individuati in maniera inequivocabile e che restano uguali a se stessi in ogni tempo e luogo. Come tali non possono essere derogati per nessuna ragione, interesse o tutela alternativa.

Vi sono poi diritti relativi, come tali variabili a seconda del tempo, dello spazio, delle esigenze, degli interessi e delle contingenze del momento, la cui gestione è discrezionale per ogni società e può variare a seconda dei casi. Una modificabilità che non ha limiti, a parte uno: che le leggi che tutelano questi interessi relativi non violino i principi assoluti citati in precedenza.

Si crea insomma, tra diritti assoluti e relativi, lo stesso tipo di gerarchia che abbiamo oggi tra Costituzione e leggi ordinarie.

Come funziona la giustizia assoluta? La formula di Radbruch

Alla luce del riepilogo, quello che emerge dalla teoria esposta è dunque quanto segue.

Esiste una giustizia assoluta? Sì. Essa consiste nei principi che consentono alla società di funzionare per il suo scopo, ossia garantire la sopravvivenza dei consociati.

Di conseguenza, ogni legge deve essere parametrata a quello scopo per poter essere giudicata in termini di “giusto/ingiusto”. Esistono poi anche leggi non direttamente finalizzate alla sopravvivenza, ma piuttosto orientate al buon funzionamento della società. Essendo però anche il buon funzionamento della società finalizzato alla sopravvivenza del gruppo, e quindi dei suoi singoli membri, esse non possono comunque collidere con quei principi assoluti, salvo diventare ingiuste.

diritti assoluti e diritti relativi
Gustav Radbruch

In questo senso, la mia teoria della giustizia assoluta riprende quanto affermato da un altro filosofo del diritto: Gustav Radbruch. Egli ideò una “formula” di giustizia che riprende molto della teoria esposta in questi articoli. Secondo il filosofo tedesco, infatti

Laddove la legge scritta giunga ad un livello di incompatibilità intollerabile con i principi di giustizia sostanziale, la giustizia sostanziale deve imporsi sulla legge scritta

Gustav Radrbuch

Bene: nella mia visione, quel “livello tollerabile” altro non è che la violazione di quei principi assoluti di giustizia finalizzati a garantire la sopravvivenza dei consociati in condizioni di uguaglianza.

E si tratta di un principio naturale, che si auto-applica a prescindere dal fatto che sia o meno espresso nella legge o nelle costituzioni vigenti. La storia offre numerosi esempi di questo, tra i quali il più emblematico è quello della schiavitù.

Giustizia assoluta e schiavitù

Pensiamo infatti all’America schiavista del 1800; in quel periodo, la schiavitù non era solo una pratica normale e diffusa, ma addirittura tutelata dalla legge.

Ma se abbiamo compreso i termini della mia teoria, sappiamo che la schiavitù è ingiusta in assoluto, perché lede i principi di uguaglianza.

Quindi, a differenza di quanto può sostenere un positivista, la schiavitù era ingiusta anche se la legge la tutelava. La dimostrazione di questo è stata la sua abolizione: mano a mano che gli schiavi neri giungevano in america per lavorare i campi, essi entravano in contatto con i bianchi, e con il tempo gli stessi bianchi presero coscienza del fatto che anche gli schiavi erano esseri umani come loro; avevano i loro stessi bisogni (come mangiare e dormire); erano capaci di pensare, provare emozioni, soffrire, gioire e amare esattamente come i bianchi. Insomma: erano membri dei corpo sociale esattamente come loro.

Di conseguenza, erano loro pari, e partecipavano al contratto sociale con gli stessi limiti e libertà dei bianchi. Avevano gli stessi doveri e dovevano avere gli stessi diritti. Infatti, furono gli stessi bianchi, presa consapevolezza di questo, a battersi al fianco dei neri per l’abolizione della schiavitù.

Era un passaggio inevitabile, perché la schiavitù aveva raggiunto un livello di incompatibilità intollerabile con i principi assoluti di giustizia, motivo per cui era destinata ad essere abolita. Nel rapporto tra diritti assoluti e diritti relativi, infatti, il diritto relativo dei proprietari terrieri di poter usufruire di manodopera a costo nullo, contrastava col diritto assoluto di garantire libertà e uguaglianza a tutti i membri del corpo sociale, schiavi compresi.

La schiavitù non è mai stata “giusta”; essa è stata solo imposta per esigenze contingenti di alcune classi ed abolita dalle altre classi una volta riscontrati gli effetti negativi sugli obiettivi della società, ossia garantire la sopravvivenza di tutti i consociati in condizioni di uguaglianza.

Insomma: è la storia stessa a dimostrare che la giustizia assoluta esiste.

P.T.