Lo scorso 20 dicembre 2018 il Presidente Americano Donald Trump ha fatto un annuncio che potrebbe avere determinanti implicazioni geopolitiche: ha dichiarato che l’ISIS è ormai sconfitto e che entro il 2019 gli USA provvederanno al progressivo ritiro delle truppe dal teatro di guerra Siriano.
La generale “questione mediorientale” è stata al centro delle mie ricerche durante il Master in geopolitica e per questo la notizia mi ha toccato particolarmente da vicino.

Attualmente, la situazione in Siria è ancora molto complessa: l’ISIS continua a resistere in alcune sacche ma pare destinato a soccombere. Il problema, attualmente, non è più costituito dal terrorismo islamico, ma dal vuoto di potere lasciato dalla guerra e soprattutto dallo sfaldamento di quei confini che non tenevano conto delle realtà etniche e che, di fatto, erano in pochi a riconoscere.

Per questo, restaurare del tutto lo “status quo ante” appare alquanto difficoltoso; vero è che Bashr Al-Assad sembra destinato alla “riabilitazione” e a riprendere le redini del potere in Siria. Ma la Siria che esce da anni di bombardamenti, teatro di numerose guerre parallele (USA vs Russia, ISIS vs Occidente, Siriani vs ISIS, Assad vs ribelli, Assad vs Curdi, Curdi vs ISIS e Turchi vs Curdi), non è la stessa che si avviava alla “primavera araba” di qualche anno fa.
Oggi, in particolare, i curdi hanno riacquistato il controllo e l’indipendenza sul Kurdistan siriano, anche e soprattutto col supporto militare e logistico degli USA; una circostanza che, oltre a limitare le prospettive di Assad (che rischia di perdere quella regione) ha aumentato le preoccupazioni di Erdogan, che non vede certo bene la possibile affermazione nazionalistica curda, che potrebbe portare a rivolte anche nella zona est del suo Paese, a maggioranza curda. 
Anzi, la stessa Turchia, proprio a seguito della dichiarazione di Trump, ha già provveduto a rafforzare l’est del Paese, al confine proprio col Kurdistan siriano attualmente in mano all’YPG curdo.

Il rischio è che, con la fuoriuscita degli USA, i curdi perdano il loro principale alleato e l’unica ragione che, ad oggi, fa da deterrente al tentativo turco di operare rastrellamenti nella zona e nella peggiore delle ipotesi annettersi il Kurdistan siriano (approfittando proprio del vuoto di potere), a danno sia dei curdi che della stessa Siria.
Vero è anche che la Russia non sarebbe disposta ad accettare un simile scenario, ma potrebbe essere più difficile trattare con la Turchia “a giochi fatti”, cioè una volta che Erdogan avesse già, di fatto, messo mano sulla regione.

Lo scenario più complesso della geopolitica mondiale della nostra storia rischia pertanto di restare caldissimo e di accendere nuovi scontri, rivendicazioni e devastazioni, nonostante la sconfitta dell’ISIS. E questo è il segno che, come avevo già segnalato, il problema del Medio Oriente non è semplicemente il terrorismo islamico o il fanatismo religioso: i problemi sono soprattutto di natura nazionalista ed etnica rispetto a dei confini imposti dall’Europa 100 anni fa, e non c’è modo di risolverli se non riscrivendo daccapo l’intera geografia dell’area.

P.T.