Avrete sicuramente sentito spesso dire che il cervello lavora per associazioni di idee. Infatti, le distorsioni cognitive che abbiamo analizzato negli articoli precedenti di questa sezione non sono altro che sistemi che il nostro cervello utilizza per aiutarsi ad interpretare, catalogare e prevedere gli eventi e i fenomeni cui assiste.

Le associazioni di idee di cui si sente parlare sono proprio le correlazioni e gli schemi che quei bias ci inducono a fare; dopo aver analizzato quei bias uno ad uno, è dunque necessario andare a comprendere meglio questi meccanismi.

Il cervello lavora per associazioni di idee: lo schemismo

Si è visto che allo stato di natura il nostro cervello non ha praticamente mai tutte le conoscenze per formulare conclusioni corrette su ciò che ci circonda, ma l’istinto di sopravvivenza ci impone di non restare inerti, perché l’inerzia e l’incapacità di giudizio possono costarci parecchio care, soprattutto in situazioni di pericolo imminente. Per sopperire allora a quella mancanza di informazioni e conoscenze, il cervello impara ad elaborare “schemi” attraverso i bias cognitivi e le euristiche che gli permettano di catalogare comunque la realtà al fine, appunto, di comprenderla e prevederla.

Questa particolare dinamica è stata definita da Michael Shermer col termine “schemismo”, ossia

“La tendenza ad individuare schemi e associazioni per prevedere la realtà anche in assenza di nozioni per poterlo fare esaustivamente”.

Michael Shermer

Si tratta di una dinamica fondamentale di cui l’essere umano è costretto ad imparare a fare uso per potersi garantire la sopravvivenza; anzi, la sua importanza è tale che, statisticamente, essa favorisce la sopravvivenza anche di fronte ad uno schema sbagliato, perché anche uno schema sbagliato è preferibile all’assenza totale di uno schema.

Il cervello lavora per associazioni di idee per facilitare la sopravvivenza

Per comprendere meglio questa affermazione riporterò un esempio su cui ragionare, proposto proprio da Shermer.

il cervello lavora per associazioni di idee

Immaginiamo un uomo primitivo che si aggira per la foresta in cerca di cibo; ad un tratto sente un rumore e vede un cespuglio nelle vicinanze muoversi. Un attimo dopo, da quel cespuglio esce una bestia feroce. Per fortuna, però, in qualche modo riesce a farla franca.

Ipotizziamo allora cosa potrebbe accadere la seconda volta che l’uomo primitivo vede muoversi un cespuglio, a seconda che il Sistema 1 si attivi o meno per creare uno schema.

Il cervello umano può interpretare quel segnale esterno in due modi:

a) “L’evento è casuale”;

b) “C’è un predatore dietro il cespuglio che sta per aggredirmi, come è già successo”.

Nel primo caso, l’accadimento non comporta la creazione di alcuno schema utilmente ripetibile; nel secondo, invece, il nostro cervello crea uno schema di interpretazione del fatto che osserva in termini di rapporto causa-effetto:

movimento nel cespuglio = predatore”.

Nel primo caso, quindi, nel vedere un cespuglio muoversi l’uomo primitivo non ha alcuna reazione, mentre nel secondo la creazione di quello schema lo aiuta a comprendere la realtà e ad agire di conseguenza creando la correlazione:

movimento nel cespuglio = predatore = mettersi in salvo”.

Di conseguenza, scapperà.

Uno schema sbagliato è meglio di non averne uno

Analizziamo adesso l’incrocio delle combinazioni possibili per capire come mai l’evoluzione favorisca la creazione di schemi piuttosto che la casualità.

Se creo lo schema in ogni caso – sia che il predatore esista, sia che non esista – tenderò sempre a fuggire, mettendomi in salvo anche se non c’è nessun pericolo; diversamente, se non creo lo schema mi salverò soltanto se effettivamente non c’è nessun predatore, mentre se il predatore c’è, non avendo preso le dovute precauzioni farò una brutta fine. Di conseguenza, il soggetto che adotta uno schema ha il 100% di probabilità di sopravvivere, mentre il soggetto che non lo adotta ha solo il 50%.

Statisticamente parlando, l’evoluzione tende pertanto a favorire la perpetuazione dei geni dei soggetti della specie che adottano più schemi possibile – veri o falsi che siano –, portando gli altri all’estinzione.

Di conseguenza, dopo migliaia di anni di evoluzione i geni degli umani sono ormai predisposti a individuare più schemi possibile.

Come lo schemismo crea le pseudoscienze

Abbiamo dunque compreso perché il cervello lavora per associazioni di idee; abbiamo anche capito che questa dinamica è estremamente diffusa anche al giorno d’oggi per questioni evolutive.

Ecco perché nel mondo odierno è così facile diffondere e radicare nelle nostre menti teorie scientificamente invalide, ma che possono essere inserite in uno schema apparentemente coerente: il cervello degli umani di oggi ha affinato nei millenni una sofisticatissima capacità di elaborare schemi di ogni tipo e di correlare abilmente fenomeni ed accadimenti tra loro in maniera conscia (apofenia) o inconscia (ancoraggio), per poi confermarli con un approccio metodologico confermativo (bias di conferma) e consolidarli infine nei propri sistemi di ragionamento (congelamento).

Per mettere in crisi uno schema, dunque, è fondamentale l’apprendimento delle nozioni necessarie a formulare la risposta corretta, mostrandone la contraddizione con lo schema da noi elaborato. Ma per accettare questa possibile contraddizione, e soprattutto per preferire le risultanze date dalle nozioni alle conclusioni elaborate dal nostro cervello attraverso quegli schemi, è altresì necessario che i singoli soggetti comprendano come funziona il loro cervello e da quali meccanismi derivi l’elaborazione di quegli schemi.

Diversamente, nel dubbio quei soggetti continueranno a fidarsi maggiormente degli schemi, perché difficilmente mettiamo in dubbio il nostro intuito e perché quegli schemi, in fondo, ci hanno permesso di evolverci fino ad oggi e quindi offrono una certa garanzia.

P.T.