Parte VI di VIII

(Parte I / Parte II / Parte III / Parte IV / Parte V / Parte VI / Parte VII / Parte VIII)

Come  esempio di manipolazione dell’opinione pubblica riguardante il PD, ho scelto una circostanza che coinvolge in realtà un po’ tutte le parti politiche e che favorisce anche qualche riflessione sulla concreta capacità del popolo di prendere decisioni “tecniche”. Parleremo di Renzi e la riforma costituzionale del 2016.

Il contesto politico

Nel 2016 il Governo Renzi propose una riforma costituzionale del Titolo V  e modifiche minori ad altre parti della nostra carta fondamentale, che sicuramente ricordate. La bagarre politica scatenatasi da quella proposta è un esempio emblematico di come i partiti cerchino con ogni mezzo di attirare consensi puntando su argomentazioni irrazionali, non pertinenti e spesso propriamente false, anziché sul contenuto degli interventi legislativi.

Renzi e la riforma costituzionale: il contenuto

In cosa consisteva la riforma? Molto brevemente, l’idea era principalmente quella di modificare la composizione e le funzioni del Senato, rendendolo più simile alla “camera Alta” tipica dei sistemi federali come quello tedesco.

In pratica, oggi il Senato è eletto dal popolo con le stesse elezioni previste per la Camera dei Deputati, con l’unica differenza che al Senato l’elezione avviene su “base regionale”. In sostanza, ogni regione ha un tot di seggi in base alla popolazione e l’assegnazione dei seggi si fa sulla base di quella suddivisione, mentre nella Camera si guarda la votazione complessiva su scala nazionale.

Con la riforma il Senato non sarebbe stato più eletto in questo modo, bensì composto dai Consiglieri regionali che venivano eletti a loro volta da ogni Consiglio regionale. Più semplicemente: se attualmente i seggi di una regione sono assegnati in base ai voti ricevuti dai cittadini di quella regione, con la riforma sarebbero stati solo i consiglieri regionali a votare chi, tra essi, avrebbe ricoperto anche la carica di senatore.

La campagna elettorale dietro la riforma

Ma al di là dei contenuti, quello che mi interessa analizzare è la campagna elettorale che si è creata intorno al referendum sulla questione: ve la ricordate?

Da un lato le opposizioni che continuavano a ripetere che un Parlamento incostituzionale non poteva modificare la Costituzione (ma non entravano nel merito della riforma, spiegando perché fosse sbagliata o meno).

Dall’altro il Governo, che continuava a ripetere che le opposizioni erano contrarie al cambiamento e volevano impedire il progresso civile del Paese (senza tuttavia spiegare in cosa quel cambiamento consistesse…).

Anzi, mentre le opposizioni continuavano e screditare il Governo parlando dei vari indagati del partito di maggioranza che volevano cambiare la nostra Costituzione, dall’altra ho visto addirittura Renzi sbandierare pubblicamente una scheda elettorale per il voto al Senato per rassicurare chi diceva che, con la riforma, il Senato sarebbe stato sottratto all’elezione popolare (nonostante ciò che sosteneva Renzi fosse palesemente falso, visto che il nuovo art. 57 Cost. era assolutamente chiaro sul punto e non lasciava spazio ad altre interpretazioni).

Ma in tutto questo, nessuno ha usato i media e i social per spiegare il contenuto della riforma, così da permettere ai cittadini un voto informato e consapevole. Perché?

I bias cognitivi come strategia elettorale

Perché si trattava di una materia estremamente tecnica e complessa; come tale, è molto difficile da spiegare a un cittadino che non ha rudimenti di diritto, perché molto probabilmente non la capirebbe o la male interpreterebbe. La stragrande maggioranza dei cittadini, infatti, non ha proprio idea di cosa dica la Costituzione in generale; ben difficilmente, cioè, poteva comprendere la portata delle modifiche proposte dal Governo.

Come fare dunque a convincere il popolo a votare da una parte o dall’altra?

Semplificazione

In primo luogo ricorrendo alla semplificazione; non essendo utile illustrare nel dettaglio i termini della riforma, perché la maggioranza della gente non ha le basi per comprenderle, si è fatto largo ricorso a strategie semplificatorie.

Si è cercato cioè di porre l’accento su questioni più semplici, che potessero essere comprensibili per il popolo, spingendolo più facilmente a prendere una posizione. Ad esempio, concentrando il dibattito pubblico sull’abolizione del CNEL; si trattava di un ente effettivamente obsoleto, che pesava inutilmente sulle casse dello Stato. Essendo una tematica concreta e facilmente percepibile, la si è usata per condizionare il voto semplificando l’intera questione della riforma.

Votando sì aboliamo un ente inutile come il CNEL“, si diceva; circostanza assolutamente vera, ma che costituiva l’1% della riforma, che riguardava aspetti molto più importanti e complessi. Anzi, la stessa strategia di inserire l’abolizione del CNEL all’interno di una riforma più ampia aveva proprio come scopo quello di usare questa piccola modifica per giustificare anche tutte le altre.

Terreno sdrucciolevole

E infatti, di fronte a qualunque obiezione nel merito da parte dei contrari alla riforma, facile diventava la contro-obiezione “quindi non volete abolire il CNEL, facendoci spendere soldi inutili”. Si ricorreva cioè a quella fallacia logica nota come “terreno sdrucciolevole“; essa consiste nel far derivare conseguenze negative da una premessa al solo scopo di screditare l’interlocutore.

In questo modo, si screditavano gli oppositori senza dover contestare nel merito le loro obiezioni. Si puntava semplicemente a far derivare da quella opposizione una conseguenza negativa – che nessuno voleva – mettendo in ombra ogni possibile analisi delle argomentazioni contrarie.

Polarizzazione

Un altro sistema molto efficace, e molto usato da entrambe le parti, è stato poi quello di indurre gli elettori ad esprimere un voto politico.In questo modo si evitava di far loro prendere in considerazione le questioni concretamente sul tavolo della riforma costituzionale. Questioni di difficile comprensione, sulle quali è più complesso orientare l’opinione pubblica.

Infatti, almeno il 90% della popolazione chiamata alle urne non ha votato in base al contenuto della riforma; ha invece espresso sostanzialmente un voto favorevole o contrario a Matteo Renzi. Come se quel referendum fosse in realtà un’elezione politica e non la modifica della carta costituzionale.

Da un lato le opposizioni cercavano di screditare il Governo, spingendo il popolo a trasformare il voto sulla riforma in un voto di sfiducia al PD; dall’altro la maggioranza stessa ha posto una questione “politica” quando Renzi ha annunciato che, se non fosse passata la riforma, si sarebbe dimesso.

E dunque tutti, da una parte e dall’altra, si sono “dimenticati” che non si parlava di fiducia a Renzi o al Governo; si discuteva di una riforma della struttura degli organi dello Stato e di un’alterazione dei sistemi di contrappesi istituzionali che proteggono la democrazia e i nostri diritti.

E così, abbiamo espresso (quasi) tutti un voto politico, senza avere la minima idea di cosa stessimo effettivamente votando.

Ogni occasione è buona per “fare politica”

L’esempio di Renzi e la riforma costituzionale dimostra dunque come tutte le questioni sociali poste sul tavolo dell’opinione pubblica sono prontamente sfruttate dai partiti per “fare politica”. Lo scopo è sempre quello di trasformare il dibattito sui temi in uno scontro per sottrarsi voti a vicenda. A prescindere dai concreti risultati ed obiettivi che si vogliono raggiungere.

Ed è stata la politica la principale artefice di questo. Agire sulle istanze irrazionali; insistere sulle associazioni favorevoli/sfavorevoli e sui ragionamenti “di pancia” o semplificati; questi sono sistemi consueti della manipolazione. Essi assicurano un accaparramento di voti certamente superiore a qualunque analisi asettica di una norma di diritto, che la stragrande maggioranza della gente non saprebbe comprendere né sarebbe realmente interessata a capire.

Come dimostrato, la manipolazione dell’opinione pubblica è un elemento di cui l’intera politica, da destra a sinistra, fa largo uso; non è prerogativa di alcuni partiti soltanto.

P.T.