All’indomani dei risultati delle elezioni europee 2019, possiamo finalmente svolgere una analisi del voto, cercando di capire quali segnali emergano dalle preferenze espresse a livello europeo.

Cercheremo di analizzare la nuova situazione sia nel contesto europeo, che più specificamente sulle eventuali conseguenze politiche nel panorama italiano.

Il nuovo assetto politico europeo

Cominciamo dall’Europa. Come del resto paventato già dalle previsioni, il nuovo Parlamento europeo presenta delle sensibili differenze con quello scaturito dalle precedenti elezioni del 2014.

risultati europee 2019
Confronto tra la composizione del Parlamento Europeo nel 2014 e nel 2019

In generale, i due principali poli – popolari (PPE) e social-democratici (S&D) – hanno subito una sensibile flessione, dovuta principalmente alla crescita dei movimenti sovranisti e ad un sensibile aumento dei Verdi; una flessione “compensata” anche dall’aumento dei seggi in mano all’ala liberale (ALDE), composta principalmente dalle forze di Macron e di Ciudadanos.

In questa situazione, la storica alleanza tra PPE e S&D, che regge l’impianto maggioritario europeo dal 1979, per la prima volta da allora non è più in grado di formare una maggioranza da sola, ma necessita di altre forze.

Ricordiamo che i seggi totali sono 751 e quindi la maggioranza assoluta è 376 seggi. Nel 2014 l’asse socialista-popolare poteva contare su 403 seggi, mentre oggi ne ha solo più 329.

Scenari post-voto

Per raggiungere la quota 376, è dunque necessario individuare nuovi alleati. Le possibilità paiono essere almeno 3, sulla carta.

  • La soluzione apparentemente più semplice è l’inclusione delle forze dell’ALDE nella maggioranza; forte di 105 seggi, essa garantirebbe una forte stabilità, portando i seggi a 436;
  • Un’altra possibile soluzione è l’alleanza con i Verdi, il cui grande exploit ha garantito almeno 69 seggi;
  • In ultimo, non si può escludere in linea teorica neppure un’alleanza con l’ala sovranista, anch’essa in forte rialzo (60 seggi). Pare tuttavia che questa ipotesi sia poco plausibile per la distanza ideologica tra le due fazioni; del resto, è stata esplicitamente esclusa dagli stessi vertici PPE.

Per questo, la prima soluzione dovrebbe essere quella preferibile.

Non bisogna però dimenticare che si tratterebbe di una maggioranza per la prima volta “tripartita“; logica vuole che più una maggioranza è “frastagliata”, meno è stabile. Per tali ragioni, su alcuni punti del programma politico europeo potrebbe non esserci una maggioranza assoluta o si potrebbero creare disaccordi tra le tre forze. Questo potrebbe favorire le coalizioni minori, come l’ala sovranista e i Verdi; essi avrebbero infatti la possibilità di “barattare” il loro appoggio su singole questioni in cambio della realizzazione di alcuni punti del loro programma.

Naturalmente, è ancora presto per trarre conclusioni definitive; quello che però si può già dedurre è che il nuovo assetto europeo si presenta più instabile e incerto del precedente.

Risultati elezioni europee 2019: vinti e vincitori

Sebbene sia sempre difficile stabilire in modo assoluto chi abbia vinto e chi no, possiamo comunque cercare di trarre delle conclusioni sul voto alle europee, guardando alle singole fazioni.

S&D e PPE

Gli storici “padroni” della maggioranza in Europa hanno sicuramente subito un colpo che non li ha lasciati indifferenti; la quota di seggi che gli garantiva una maggioranza stabile si è infatti dispersa nei Verdi, nei liberali e nei sovranisti/riformisti. Mi pare un chiaro segno che le politiche europee, soprattutto in ambito economico, non hanno soddisfatto a pieno parte dell’elettorato che subisce ancora, in alcuni Paesi, gli strascichi della crisi e il peso dell’austerità. Ciò ha portato sia alla ricerca di un’alternativa nell’ala liberale, sia nell’aumento di sfiducia verso le istituzioni politiche che ha condotto da un lato al voto “verde” e, nei casi più estremi, all’appoggio delle estreme destre.

Sovranisti e riformisti
Salvini e Orban

Di questo risentimento generale ne hanno certamente approfittato in primo luogo i partiti a deriva populista, come i sovranisti (Lega per l’Italia) e riformisti (FdI per l’Italia).

Preciso: l”anti-europeismo non ha vinto, questo è certo, ed è infatti destinato all’opposizione; ma ha ottenuto un risultato non trascurabile che rafforza le istanze nazionaliste all’interno dei centri decisionali europei. Questo è altrettanto innegabile. Analizziamo meglio la situazione.

Marie Le Pen
  • Abbiamo in primo luogo la componente euroscettica “britannica”, con un Farage grande vincitore col suo 33%. Ma lo UK è destinato a lasciare il Parlamento Europeo con la Brexit, rendendo quel risultato sostanzialmente ininfluente;
  • c’è poi la componente ungherese, con un Orban altro grande vincitore avendo raggiunto il 55%. Ma l’Ungheria ha poco peso in Europa, sia come numero di seggi che come peso specifico. Del resto, non è ancora chiaro se Orban intenda davvero allearsi con Salvini e Le Pen o preferisca confluire nella coalizione del PPE;
  • resta però il dato di fatto che il nazionalismo e l’anti-europeismo in generale hanno ottenuto risultati eccezionali in due Paesi chiave dell’Unione, come la Francia e l’Italia, sia per numero i seggi che per peso politico di due nazioni che costituiscono il pilastro dell’Unione.

Le istanze nazionaliste, dunque, sebbene siano ben lontane dai numeri che sarebbero in grado di dirottare l’ordine del giorno del Parlamento UE – chiedendo revisione dei trattati, modifiche ai limiti di bilancio o più potere agli Stati – mostrano una ascesa che palesa una certa delusione e una diffidenza crescente verso l’Europa.

Per quanto siano destinate all’opposizione, cioè, si farà molta più fatica ad ignorarle rispetto al passato. A maggior ragione in presenza di una maggioranza meno stabile di quella del 2014, che potrebbe in alcuni casi rendere necessario andare “altrove” a cercare voti utili.

Verdi

Una coalizione che di certo può fregiarsi del titolo di vincitrice è quella dei Verdi e degli ecologisti. Il boom di voti ottenuto in Germania (21%, addirittura secondo partito nazionale), in Francia (12,6%, terzo partito), ma anche in Finlandia, Irlanda e Danimarca hanno garantito alla coalizione 20 seggi in più rispetto al 2014.

Un altro segnale che emerge dal voto è pertanto una rinnovata attenzione del popolo verso i problemi ambientali; forse complice il diffondersi nell’opinione pubblica delle questioni “inquinamento” e “surriscaldamento globale”, portate avanti proprio in questi mesi col “fenomeno” GretaThumberg. Ma sicuramente favorita anche da una crescente sfiducia verso la politica di stampo ideologico, fondata sulla tradizionale contrapposizione “destra/sinistra”.

Greta Thumber

Peraltro, se si considera che a fianco dei Verdi si assiste al consolidamento dell’altra ala ecologista – più dirottata a sinistra – del GUE/NGL, che si assesta sui 38 seggi (rispetto ai 52 del 2014), constatiamo che le istanze ambientaliste si fanno forti, per la prima volta, di un numero di seggi che supererebbe i 100. In situazioni di eventuale stallo politico di una maggioranza così diversificata, quale dovrebbe essere l’asse S&D-ALDE-PPE, si tratta di un numero che può avere il suo peso per il raggiungimento della maggioranza su alcune questioni specifiche, ponendo sul tavolo, come “voto di scambio”, proprio quelle istanze ambientaliste. Un peso superiore a anche quello delle destre estreme.

Del resto, non si esclude neppure che i Verdi possano rientrare in qualche modo in una possibile “grande coalizione” in funzione anti-sovranista, come loro stessi pretendono proprio a fronte dell’incremento di voti ottenuto.

ALDE

Infine, chi più di tutti può fregiarsi del titolo di vincitore è certamente l’ala liberale, sostenuta principalmente da Ciudadanos e Republique en Marche, il cui exploit inaspettato ha garantito loro addirittura 40 seggi in più.

Un risultato che va letto alla luce del dirottamento dei voti più “moderati”, che ha spinto alcuni “delusi” ad abbandonare la dicotomia “socialisti-popolari” per dare fiducia ad una nuova ala centrista. Forte di quei 105 seggi, l’ALDE si assicura il ruolo chiave di vero e proprio “ago della bilancia” del nuovo scenario europeo. I suoi voti, infatti, diventerebbero essenziali per garantire una maggioranza, finendo per dar loro un peso specifico superiore a quello numericamente in loro possesso.

Oltretutto, si tratta di uno scenario che appare positivo soprattutto per il partito La Republique en Marche di Macron, che si è visto sconfitto a livello nazionale ma che, grazie alla sua coalizione, si ritroverà ora ad avere un ruolo di primo piano in seno al Parlamento Europeo.

Cosa ci dicono queste elezioni?

Alla luce dei risultati delle elezioni europee 2019, ritengo che le preferenze espresse dal popolo del vecchio continente ci suggeriscano diverse cose.

Il popolo europeo è sempre meno soddisfatto

Innanzitutto, come anticipato, che la gestione precedente non ha soddisfatto l’elettorato, che ha in parte tolto la fiducia all’asse popolare-socialista che governava l’Europa da ormai 40 anni. Le manovre di austerity per uscire dalla crisi e i forti limiti imposti ai bilanci statali hanno seminato non poco malcontento; e i risultati positivi sembrano doversi fare ancora attendere.

Una delusione visibile dalla “fuga” dei voti da quella maggioranza storica verso diverse soluzioni.

Alternative moderate

In primo luogo l’ala liberista, che aspira a costituire un vero e proprio “terzo polo” fin’ora sconosciuto nelle dinamiche europee. Il rifugio di buona parte dell’elettorato verso un’ala nuova appare infatti un chiaro segno della volontà del popolo europeo di andare oltre la direzione tradizionale dell’Europa degli ultimi 40 anni. Ciò che mi pare indicativo dell’insoddisfazione delle politiche europee portate avanti dai partiti tradizionalmente alla guida del continente.

Alternative estremiste

Inoltre, di questo malcontento ne ha approfittato certamente l’ala sovranista e più anti-europeista, che ha saputo intercettare questi sentimenti per proporre un’alternativa radicalmente opposta. Lo ha fatto sfruttando la demagogia e il populismo ma anche facendosi portavoce di una alternativa a quel risentimento che è convogliata verso un desiderio “nazionalista” e meno orientato al federalismo europeo.

Come visto, si tratta di un risentimento diffuso anche in Paesi dal grosso peso politico, come la Francia e l’Italia, e non solo in nazioni più piccole come la Polonia e l’Ungheria.

Questo dato credo debba far riflettere le istituzioni europee e spingere verso una revisione delle strategie e dei mezzi in atto per uscire dalla crisi economica; non tanto per venire incontro alle istanze sovraniste e riformiste, ma per evitare che quel malcontento continui a diffondersi, portando quell’ala anti-europeista ben oltre i risultati ottenuti in questi giorni. Uno scenario che potrebbe mettere seriamente in crisi l’intero impianto europeo in un prossimo futuro.

Mi auguro insomma che questo segnale di risentimento non sia totalmente ignorato dall’UE, ma che al contrario se ne faccia tesoro per una più seria autocritica che le permetta di migliorare le sue strategie e riconquistare il consenso popolare messo in forte crisi dalle derive sovraniste.

Alternative ambientaliste

In ultimo, credo anche che i cittadini europei abbiano voluto lanciare un segnale meno “politico”, ossia quello ambientalista. Quali che siano le nuove direttive e i nuovi obiettivi, gli europei chiedono ai governanti di non dimenticarsi del pianeta e di tenere in debito conto il futuro delle nuove generazioni e non solo la risoluzione dei problemi contingenti sul breve termine. Anche in questo caso, mi auguro che le istituzioni europee sappiano farne tesoro.

Risultati elezioni europee 2019: quali segnali per l’Italia?

Veniamo ora allo specifico caso italiano. Cosa ci dicono i risultati delle elezioni europee 2019 in termini di politica nazionale? Che scenari ci prospettano?

Vincitori e vinti

risultati elezioni europee 2019
La destra

Analizzando i dati, è chiaro che l’Italia ha un unico e incontrastato vincitore: Matteo Salvini. Il suo partito è passato dal 17% delle nazionali del 2018 al 34% delle europee, di fatto raddoppiando i consensi. L’attuale Ministro dell’Interno è stato molto abile nel trovare il giusto modo di parlare alla pancia dei cittadini, intercettando quelle istanze e quel risentimento diffuso a causa delle difficoltà economiche e delle manovre di austerity. Ha così saputo individuare come principale artefice del danno proprio l’Europa e si è proposto di prendersi la responsabilità di portare quelle istanze al Parlamento Europeo per “cambiare le cose“. Ed è stato ascoltato, segno che quel risentimento, in Italia, c’è.

Un risentimento in parte accolto anche dall’ala riformista, incarnata dal FdI della Meloni; esso è riuscito infatti a superare abbondantemente la soglia di sbarramento del 4% (risultato mancato invece da “+ Europa”, da “La Sinistra” e da “Europa Verde”).

Inoltre, il flop di Berlusconi (per la prima volta sotto il 10%) e il grosso divario tra FdI e Lega stessa, sembrano confermare che, ormai, la Lega sia in assoluto il punto di riferimento della destra italiana.

In generale, dunque, si assiste ad un sensibile spostamento verso destra delle preferenze italiane. Uno spostamento che va spiegato alla luce dei sicuri demeriti del Movimento 5 Stelle – principale sconfitto della tornata elettorale -, buona parte dei cui elettori sembrano essere passati proprio alla Lega.

La sinistra

Ma lo spostamento verso destra dimostrato dai risultati delle elezioni europee 2019 va anche spiegato alla luce del generale sfaldamento della sinistra, che ad oggi ha nel Partito Democratico l’unica valida rappresentanza. Il PD, infatti, si è fermato al 22,7%; un risultato decantato come positivo rispetto alle ultime nazionali ma che in realtà, guardando i voti assoluti – e visto l’aumento dell’astensione rispetto al 2018 – consiste pressappoco nello stesso numero di votanti delle precedenti nazionali. Ed anzi addirittura qualcosa in meno.

risultati elezioni europee 2019
Flusso dei voti dalle nazionali del 2018 alle europee del 2019. Dati del Corriere.it

Una tacita (ma chiara) conferma della fiducia al Governo

Ma soprattutto, il segnale che mi pare più importante sottolineare è la conferma data al Governo in carica. Al netto del calo dei 5 stelle e della crescita della Lega, l’attuale alleanza al Governo ha infatti aumentato il suo consenso rispetto al 2018. E’ un segno evidente che il Paese continua a dare fiducia a questo Governo e che le politiche messe in atto in questi 10 mesi, pur tra polemiche e litigi interni, non hanno minimamente incrinato la solidità dell’appoggio popolare. Anzi.

Per molti il risultato delle elezioni europee 2019 sembrerebbe aprire la strada a nuove elezioni, con una possibile riproposizione della coalizione del centro destra che numeri alla mano avrebbe esattamente il 50% dei consensi del Paese.

Tuttavia, ritengo che la strategia migliore per Salvini sia invece quella di portare avanti questo Governo. Il peso dell’alleanza si è infatti ribaltato e questo modifica completamente l’equilibrio di potere nella maggioranza.

Simile situazione potrebbe portare ad esempio ad un rimpasto di Governo, con nuovi ministri della Lega al posto di quelli in mano ai grillini.

Lo “stato di grazia” di Salvini

Ma soprattutto, ciò consente oggi a Salvini di farla da padrone nella maggioranza; può infatti con sicurezza minacciare un’elezione anticipata dalla quale la Lega avrebbe tutto da guadagnare e i 5 Stelle tutto da perdere. In questo senso, il potere contrattuale della Lega si vede fortemente rafforzato, al punto che molte delle proposte osteggiate dall’alleato – vedi la TAV – potrebbero ora passare in scioltezza, sotto la minaccia della perdita delle redini del Governo per il M5S.

Insomma: governare con chi ha perso è un ottimo vantaggio, perché ti consente di fare il buono e il cattivo tempo. Salvini può infatti tenere in pugno l’alleato di Governo, potendo imporre la sua linea politica forte della perenne minaccia del ricorso ad elezioni anticipate.

Alla luce dei risultati delle elezioni europee 2019, la Lega è insomma in uno stato di grazia e sa di poter cascare sempre sul morbido; e se questa strategia sta funzionando così bene, non vedo perché Salvini dovrebbe cambiarla proprio adesso.

P.T.